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Storia di ieri: Il salvadanaio di grandi e piccini. La ripresa della Cassa di Risparmio dopo la grande crisi del 1929 [ versione stampabile ]

di Ubaldo Delsante

Una delle conseguenze della crisi del 1929 fu la messa in sofferenza dei crediti di molte banche, destinate al fallimento insieme ai loro clienti. Tutta Parma, come il resto dell’Italia, fu percorsa da una drammatica ondata di panico. L’inizio degli anni Trenta fu una corsa a ritirare le somme depositate agli sportelli delle banche, almeno di quelle che erano rimaste aperte. Non mancarono incresciosi episodi di suicidio. L’indirizzo accentratore del governo e la sua politica di sostegno del credito portarono a una selezione delle banche meritevoli di essere salvate e potenziate per il futuro, mentre altre furono condannate a scomparire o a sostenersi esclusivamente con i propri mezzi. Del resto, il rifinanziamento delle banche attraverso il ricorso alla Banca d’Italia era reso piuttosto oneroso dai tassi d’interesse allora praticati.

La Cassa di Risparmio fu, come gli altri istituti bancari – pubblici o privati che fossero – colpita dalla crisi, ma riuscì a mantenere la propria efficienza e a soddisfare gli obblighi contratti con la clientela senza la necessità di ricorrere ad aiuti esterni. Anzi, si accollò in parte i debiti di altri istituti cittadini per non mettere in ginocchio troppe aziende e soprattutto famiglie. Il 1932 fu l’anno più critico.

Nel giro di pochi giorni, tra settembre e ottobre, la Cassa rimborsò depositi per 27 milioni di lire, ma i suoi dirigenti ebbero il coraggio di fronteggiare la situazione con grande sangue freddo e disponibilità nei confronti della clientela. L’apertura degli sportelli fu anticipata e la chiusura posticipata di un’ora per dar modo al pubblico di accedere alla banca senza eccessivi disagi. Lungo le vie della città e verso la campagna – scriverà il futuro direttore Enrico Carra – vi fu un insolito via vai di impiegati che dalla sede di piazza Garibaldi portavano alle filiali il contante necessario ai rimborsi. Le operazioni di ritiro raggiunsero il numero di 4.341. Anche i depositi vincolati furono, in via eccezionale, rimborsati liberamente senza penalità e questa fu la carta vincente della Cassa, poiché «valse a riguadagnare la fiducia di molti o, per lo meno, delle persone più intelligenti e comprensive, le quali apprezzarono l’onestà e il senso di responsabilità dell’amministrazione e seppero valutare lo sforzo immane che si andava compiendo». Poco per volta, nel giro di alcuni mesi, i depositi ritirati rientrarono per circa 20 milioni di lire, cioè quasi interamente.

La figura del direttore Piero Pioli


Direttore generale della Cassa di Risparmio di Parma dal 1930 al 1945, fu una singolare figura di dirigente che amava la sua banca così come la sua famiglia e la sua città: il dott. comm. gr. uff. Piero Pioli. Nato a Borgotaro il 19 novembre 1903, ma di formazione culturale cittadina (fu allievo della “Salle”), Pioli conseguì la laurea in Scienze economiche e commerciali presso l’Università Bocconi di Milano ed entrò nei quadri della Cassa, diventandone direttore giovanissimo. Sotto la sua guida l’istituto aumentò notevolmente l’ammontare dei depositi e degli impieghi e, soprattutto, crebbe di importanza il ruolo nella città e nella provincia, dove si irradiavano quasi in ogni comune le sue filiali. Fu costruita la bella e grande sede di Fidenza in uno stile che imitava quella di Parma e venivano acquistati i locali delle filiali di Busseto (con assorbimento del fallito Piccolo Credito Bussetano) e di Roccabianca.  

Nel decennio precedente la guerra, la massa fiduciaria, cioè i depositi nelle varie forme e nel complesso, passò da 159.209.000 a 243.015.000 lire e gli impieghi, vale a dire i prestiti alla clientela, da 201.394.000 a 289.157.000 lire. La porzione di utile destinato alla beneficenza, nel periodo, si mantenne costante, tra le 420 e le 540 mila lire l’anno. I dati dimostrano che i depositi erano aumentati proporzionalmente assai più degli impieghi, che la Cassa utilizzava anche fondi propri attingendo alle riserve accumulate negli anni precedenti e inoltre che la politica attuata dall’istituto era di larga disponibilità verso le esigenze del territorio, tenuto conto che una cospicua parte degli impieghi era sotto forma di finanziamenti agli enti e alle istituzioni locali.

Inevitabilmente compromesso col regime, ma persona onesta e preparata, Pioli dopo la guerra svolgerà altri importanti incarichi nel mondo finanziario, passando alla direzione della Banca del Monte di Parma (1949-1955) e in seguito dell’Istituto Commerciale Laniero di Milano. Era stato, infatti, esonerato (anzi “epurato”, come si diceva allora) dalla direzione della Cassa per motivi politici, cosa che lo amareggiò comprensibilmente, al punto da portarlo a citare in giudizio l’istituto (contro il quale vinse la causa ma rinunciò a riprendere il suo posto per rispetto ai colleghi che nel frattempo avevano occupato i vertici della struttura). Le stesse associazioni partigiane testimoniarono in suo favore, considerando anche il suo comportamento abilmente dilatorio quando la Cassa fu incaricata dal governo di confiscare i beni appartenenti agli ebrei in ottemperanza alle leggi razziali. Morirà a Parma il 3 novembre 1970.

La felice iniziativa della Festa del Risparmio

Una delle iniziative vincenti che Pioli prese nella seconda metà degli anni Trenta fu quella di incrementare i depositi. Dopo che anche le Poste furono autorizzate a emettere libretti di deposito, una parte del risparmio privato venne qui dirottato a spese soprattutto delle Casse di Risparmio. L’istituto parmigiano, tra i primi in Italia, forse addirittura il primo, intraprese una promozione che raggiunse due scopi fondamentali: far crescere la raccolta del risparmio, sia pure in modo non esponenziale, ma comunque sensibile, e conseguire una duratura fidelizzazione dei clienti. Si trattava di inserire, nel quadro delle tradizionali feste del risparmio, gare a premi per studenti e per docenti.

Nel corso di cerimonie organizzate puntualmente alla cadenza di ogni 31 ottobre per la Festa del Risparmio, con l’appoggio delle autorità locali – i temi della sobrietà e del risparmio familiare erano cari anche al regime fascista – i capi delle filiali poste nei vari comuni della provincia, dopo i discorsi di rito, la lettura dei temi premiati e le recite a soggetto dei più svegli tra gli scolari prescelti dagli insegnanti, consegnavano i premi consistenti in un libretto di risparmio già aperto con una piccola somma e una cassettina di metallo con l’etichetta della Cassa, una fessura per l’introduzione delle monete, ma senza la chiave, che era tenuta invece dal cassiere. Gli insegnanti, dal canto loro, ricevevano encomi e visibilità di fronte ai loro superiori e al podestà del luogo, che non faceva mai male. In questo modo, come dimostrano le cifre dei depositi degli anni Trenta, la Cassa di Risparmio ottenne un costante incremento, che si prolungò ben oltre la Seconda Guerra Mondiale e per tutto il periodo  della ricostruzione, quando i bambini di allora erano diventati i protagonisti del boom economico.

Il numero dei libretti di risparmio emessi passò da meno di 7 mila nel 1933 a oltre 48 mila nel 1942 e se gli importi complessivi raccolti non furono particolarmente significativi, di grande rilievo risultò invece la fidelizzazione del pubblico, destinata a portare frutti più rilevanti in tempi successivi. E proprio per questa iniziativa venne conferita alla Cassa, con Decreto Reale del 15 settembre 1941, la Medaglia d’Oro dei Benemeriti dell’Educazione Nazionale.

La Festa del Risparmio, durante il Ventennio, ebbe sempre particolare importanza, sottolineata dalla presenza delle autorità civili, militari e scolastiche e dalla coreografia accurata e inneggiante prima di tutto al risparmio, ma anche, seppure in modo discreto, al regime. Questo tipo di attività attirò l’attenzione del governo e pertanto  giunse il riconoscimento ufficiale e la visita di Mussolini, mentre la Cassa di Risparmio di Parma veniva additata come esempio per tutte le altre casse italiane.

La crisi finanziaria indusse altresì la Cassa a prendere alcuni provvedimenti che riguardavano la struttura interna con la creazione dell’ufficio contenzioso e dell’ufficio ispettorato, per giungere a una migliore integrazione e a un puntuale controllo delle attività delle filiali, che fino ad allora erano autorizzate ad agire come se fossero vere e proprie agenzie autonome, in una certa misura indipendenti dalla sede centrale. Venne inoltre sviluppato il servizio di tesoreria e di cassa per numerosi enti pubblici e locali.

La visita di Mussolini

L’8 ottobre 1941 l’efficace politica del risparmio popolare, ma anche del tradizionale e concreto sostegno all’agricoltura da parte della Cassa di Risparmio, furono coronate dalla visita del duce, che trascorse un’intera giornata tra Parma e Fidenza allo scopo di consegnare la Spiga d’Oro per l’anno XVIII dell’Era Fascista ai contadini parmensi che si erano distinti nella “Battaglia del grano”. Come si nota dalle foto scattate durante l’evento, l’ingresso della banca era stato decorato con i manifesti inneggianti appunto all’ambìto premio rurale. Mussolini, che era già stato a Parma, in piazza Garibaldi, nel 1938, quando personalmente volle salire sulla trebbiatrice che era stata qui installata, tre anni dopo, a guerra iniziata da poco più di un anno, trovò di nuovo la folla che lo festeggiava e che ancora sperava nella vittoria. «Quando la campana maggiore della piazza ha cominciato a battere i suoi rintocchi festosi un brivido ha percorso la moltitudine che si stipava dietro le transenne». Il duce uscì dalla sede della Cassa rinfrancato non soltanto per gli omaggi dell’intero staff dell’istituto, ma soprattutto per la bella somma di mezzo milione che gli era stata donata «perché la destinasse ad iniziative ed opere parmensi», come sottolineò il giornalista parmigiano Alessandro Minardi nella entusiastica cronaca della giornata parmense di Mussolini.

L’intervento di regime sulla Sala Bocchi

Il direttore Pioli non era insensibile alle bellezze artistiche della città ed era legato alle tradizioni locali, tanto che sarà presidente della Famija Pramzana dal 1948 al 1962. Durante il suo mandato, tra il 1931 e il 1939, ad esempio, la Cassa finanziò importanti lavori di restauro dell’antico Palazzo Vescovile. Tuttavia, per prestare orecchio e attenzione ai desideri delle autorità locali, presumibilmente malvolentieri, acconsentì a un forte rimaneggiamento e snaturamento del più importante capolavoro artistico presente nei locali della sede centrale della Cassa, la Sala del Consiglio interamente affrescata e arredata più di vent’anni prima da Amedeo Bocchi, che divenne un piccolo “santuario” del regime grazie al pesante intervento dello scultore Pietro Canonica (Moncalieri, 1869 – Roma, 1959). L’artista, venuto dalla capitale nel 1938, non si accontentò di apporre i busti del re Vittorio Emanuele III e del duce Benito Mussolini nella sala, ma senza il minimo rispetto per il lavoro altrui, fece ricoprire gli affreschi di Bocchi stendendo su tutte le pareti una teletta grigia e celando anche il lucido dello stucco allo scopo di far meglio risaltare i suoi due busti. Non solo, ma fece piazzare agli angoli della sala quattro fiaccole con le fiamme in vetro ritorte, come quelle dei cimiteri, facendo demolire l’originale apparecchio di illuminazione.

Caduto il fascismo, Bocchi prenderà contatto con la dirigenza della Cassa ma soltanto nel 1974, sotto la presidenza del comm. Guido Orsi e con il pittore ormai ultranovantenne, si giungerà al ripristino di tutto l’insieme. In quell’occasione Bocchi svolgerà il lavoro di restauro senza chiedere alcun compenso: «Ho precisato questo aspetto – scriverà – perché si comprenda che se ora insisto per vedere realizzata la sala nella sua integrità, come è stata pensata e sofferta, non è per interesse materiale, ma perché è parte viva dell’animo mio e mi pare di avere un pochino il diritto di desiderare di consegnarla alla Storia non mutilata ma come l’ho pensata. La Storia poi esprimerà il giudizio finale». Oggi la Sala Bocchi è una delle pochissime realizzazioni in Italia progettate ed eseguite da un unico artista nel periodo Liberty.

BIBLIOGRAFIA

P. PIOLI, Il Risparmio e le Casse di Risparmio in regime fascista, Parma, S.A.F. Zafferri, 1933.

La “Giornata Mondiale del Risparmio” e la Cassa di Risparmio di Parma, «Corriere Emiliano», 31 ottobre 1933, p. 3.

A. MINARDI, 8 ottobre 1941. Il Duce a Parma (rist. da «La Fiamma», 1941), Parma, PPS, Step, 1993.

La Cassa di Risparmio di Parma dal 30 aprile 1930-VIII al 31 dicembre 1942-XXI, Parma, Anonima Zafferri, 1942.

La Cassa di Risparmio di Parma (1860-1952). Brevi note illustrative, Parma, Tip. Donati, 1952.

Cento anni di vita della Cassa di Risparmio di Parma 1860-1960, a cura di E. Carra, Cassa di Risparmio di Parma, Milano, Arti Grafiche A. Pizzi, 1960.

Banche locali e sviluppo dell’economia, a cura di G.L. Basini e G. Forestieri, Milano-Varese, Giuffrè, 1989.

Amedeo Bocchi e la Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio 1916-1976, a cura di U. Delsante e G. Gonizzi, Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, PPS ed., Artegrafica Silva, Parma 1994.

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M. BERRI, Amedeo Bocchi: una rilettura biografica in chiave romana, «Bella Parma», n. 5, luglio-settembre 2004, p. 26.

M. BERRI, La Sala Bocchi, il capolavoro del grande pittore, romano d’adozione, decano dei pittori di Villa Strohl-Fern, «Bella Parma», n. 27, gennaio 2011, pp. 10-14.

 
 
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